Quanto sopra non è inteso a scaricare responsabilità, quanto a tracciarne con chiarezza i confini. L’ANVUR valuta infatti positivamente le importanti novità contenute nel DM in materia di classificazione delle riviste. In linea con quanto indicato dal Consiglio di Stato, esse introducono criteri più oggettivi, riducendo i margini di arbitrarietà, per quanto bene intenzionata, dell’ANVUR medesima. Inoltre, anche se indirettamente, affidano una voce decisiva in materia di classificazione ai membri della comunità accademica, nella loro duplice veste di partecipanti alla selezione dei propri prodotti migliori e di revisori in ambito VQR.
Il DM infatti stabilisce che la classificazione delle riviste ai fini della ASN si svolga secondo due possibili procedure, che rispettano e rispecchiano le due principali tradizioni proprie rispettivamente delle aree 8a, 10, 11a, 12 e 14, dove si è da sempre riconosciuto il ruolo preminente della peer review, e dell’area 13, che ha invece sin dall’inizio preferito seguire un modello valutativo basato sull’impatto, vale a dire la presenza e il posizionamento delle riviste nelle principali banche dati internazionali come SCOPUS.
Nell’Allegato D il Decreto infatti distingue con chiarezza due casi:
Ai fini della classificazione delle riviste in classe A, nell’ambito di quelle che adottano la revisione tra pari, l’ANVUR verifica, rispetto alle caratteristiche del settore concorsuale, il possesso di almeno uno dei seguenti criteri:
a) qualità dei prodotti scientifici raggiunta nella VQR dai contributi pubblicati nella rivista;
b) significativo impatto della produzione scientifica, laddove appropriato.
ANVUR ha quindi fatto suoi questi due principi, introducendo come requisiti preliminari per la classificazione in classe A delle riviste delle aree 8a, 10, 11a, 12 e 14 la presenza di contributi apparsi nelle riviste in questione in due VQR successive e la qualità del giudizio da essi riportato, e per quella delle riviste di area 13 la presenza e il posizionamento delle riviste nelle principali banche dati internazionali.
Alcune voci circolate di recente, e in particolare quella secondo cui il Regolamento (e il DM che lo ispira) stabilisce che non possano essere ammesse alla valutazione per l’inserimento nella Fascia A le riviste che non risultino indicizzate nelle banche dati più diffuse a livello internazionale, sono quindi non rispondenti al vero. Tale criterio si applica infatti solo “laddove appropriato”, e quindi nell’area 13, dove esiste una forte e legittima tradizione in tal senso (Relazione accompagnamento).
Anche alcune preoccupazioni più comprensibili risultano, alla luce di dei dati, prive di fondamento. La scelta di due VQR successive (il che vuol dire oggi il periodo che va dal 2004 al 2014, per un totale di 11 anni, visto che secondo il Regolamento basta essere presenti in una delle due, e non in ciascuna di esse) per verificare la presenza di contributi apparsi su una rivista in una VQR è infatti più che sufficiente a garantire ampi margini di tranquillità.
Facciamo l’esempio di due aree da cui sono venute preoccupazioni in tale senso (storia moderna e storia contemporanea, vale a dire i settori concorsuali denominati, rispettivamente, 11/A2 e 11/A3). Ebbene per quanto riguarda la prima sono stati presentati nelle due VQR quasi 300 articoli su rivista, che salgono a più di 400 nella seconda, e in entrambi i casi la percentuale degli articoli sul totale dei lavori presentati è in crescita da una VQR all’altra.
Una rivista che pubblica di regola in 11 anni più (e spesso ben più) di 100 articoli può quindi tranquillamente continuare a pubblicare contributi di giovani studiosi, colleghi che insegnano all’estero, docenti fuori ruolo e ricercatori indipendenti, ed essere comunque certa che—se i contributi che pubblica sono di qualità—qualcuno degli studiosi strutturati che ha pubblicato sceglieranno uno di questi articoli tra i loro prodotti migliori (ricordiamo che nelle due VQR ogni docente e ricercatore ha presentato complessivamente 5 lavori).
E’ del resto ragionevole chiedersi se è opportuno che figuri tra le riviste di fascia A di una (o più) discipline una rivista che, in un decennio e più, non ha pubblicato nemmeno un lavoro ritenuto sufficientemente valido da essere presentato alla VQR da uno dei docenti e ricercatori che lavorano nelle Università e negli Enti di ricerca del nostro paese.
Altrettanto indiscutibile appare la ragionevolezza del criterio secondo cui, una volta accertata la presenza in almeno una di due VQR successive, si proceda a confrontare la qualità media dei lavori presentati da riviste di classe A con quella media delle riviste scientifiche della medesima area. Una rivista di classe A dovrebbe infatti caratterizzarsi per una più alta qualità media (ferma restando l’inevitabile variabilità nella qualità dei singoli contributi effettivamente pubblicati). Ora, il fatto che le valutazioni riportate dai contributi di una rivista ad essa appartenente siano in media non superiori a quelle delle riviste scientifiche è indubbiamente una indicazione importante in senso contrario – una prova che, in quel particolare caso, potrebbe essere inappropriato ritenere la rivista meritevole di appartenenza alla classe A.
Saranno inoltre effettuati controlli volti a verificare se vi siano riviste scientifiche i cui lavori hanno riportato valutazioni almeno pari a quelle delle riviste di classe A del loro settore; per queste riviste si avvierà un processo di riclassificazione, con la possibilità che in ultima analisi esse vengano assegnate alla classe A.
L’intero processo acquista quindi tratti di maggiore equilibrio e oggettività, offrendo maggiori garanzie per le riviste e, non ultimo, più voce in capitolo ai singoli docenti e ricercatori, le cui scelte d’ora in avanti influiranno—sia pure indirettamente—in modo decisivo sull’esito finale della classificazione.